spartacus

PRIMI ANNI

Si sa ben poco di preciso sulla sua giovinezza: è comunque certo che nacque in Tracia, sulle rive del fiume Strimone (l'odierno fiume Struma, in Bulgaria), tra il 111 ed il 109 a.C. circa, da una famiglia di pastori facente parte della tribù dei Maedi. Intraprese la professione del padre, ma, ridotto in miseria, accettò di entrare nelle fila dell'esercito romano, con cui combatté in Macedonia col grado di milite ausiliario. Secondo quanto riportato da Plutarco, Spartaco era sposato con una sacerdotessa della sua tribù. In verità, c'è anche chi afferma che, in realtà, Spartaco fosse il figlio di un proprietario terriero campano che ottenne la cittadinanza romana subito dopo la conclusione della guerra italica.

"Spartacus" non era il suo vero nome, bensì un soprannome, datogli molto probabilmente da Lentulo Batiato, generato forse come latinizzazione di Sparadakos (ovvero "famoso per la sua lancia") o di "Spartakos" (che poteva forse indicare un particolare luogo della Tracia o il nome di un qualche leggendario sovrano della regione), o, ancora, come un possibile riferimento alla città-stato greca di Sparta, la città guerriera per antonomasia nell'immaginario antico.

La ferrea disciplina romana ed il razzismo che dovette sopportare all'interno della milizia lo convinsero, alla fine, a disertare e a tentare la fuga. Come riportato da Appiano di Alessandria, egli venne ben presto catturato, giudicato disertore e condannato, secondo la legge militare romana, alla riduzione in schiavitù. Appiano riporta anche la teoria secondo la quale Spartaco non fu schiavizzato per diserzione, ma perché prigioniero di guerra in quanto alleato, con la sua tribù, di Mitridate VI del Ponto. La conoscenza delle tattiche legionarie romane dimostrata dal Trace nel corso della sua rivolta, però, ha fatto propendere gli storici per Spartaco come ex-legionario ausiliario.

In seguito, intorno al 75 a.C., fu destinato a fare il gladiatore; Spartaco, infatti, venne venduto a Lentulo Batiato, un lanista che possedeva una scuola di gladiatori a Capua. Fu obbligato a combattere all'interno dell'anfiteatro campano contro belve feroci e contro altri gladiatori, com'era in uso a quel tempo, per divertire popolo e aristocrazia.

SPARTACUS

Spartaco (in greco Σπάρτακος, Spártakos; in latino Spartacus; Tracia, 109 a.C.circa – Valle del Sele oppure Petelia o Petilia, 71 a.C.) è stato un gladiatore e condottiero trace che capeggiò la rivolta di schiavi nota come terza guerra servile, la più impegnativa di questo tipo che Roma dovette affrontare.

LA SCONFITTA

Spartaco si diresse verso l'Apulia, secondo alcuni perché da lì voleva salpare alla volta della Tracia, secondo altri perché voleva far insorgere gli schiavi della provincia ed inglobarli quindi nelle fila del proprio esercito. Crasso, in tutta risposta, lo attaccò alle spalle, ma il capo ribelle riuscì, seppur con non poca difficoltà, a sconfiggerlo nella battaglia di Petilia. Tuttavia, a causa della stanchezza dei suoi uomini, Spartaco non poté sfruttare al meglio il suo successo, avvenuto nel gennaio del 71 a.C., anche perché l'esercito romano, ora numeroso e ben armato, costrinse il Trace prima alla fuga verso Brindisi (dove due suoi ex-alleati, Casto e Gannico, vollero muovere battaglia da soli ai romani, perdendo nettamente) e poi alla ritirata, ancora verso la Lucania. Difatti la piana del metapontino (oggi nella provincia di Matera) è teatro del passaggio dell'esercito di schiavi e disperati di Spartaco che gli permisero di raccogliere nuovi consensi. Plutarco parla dell'arrivo di “molti mandriani e pastori della regione che, gente giovane e robusta, si unirono a essi”, e a cui fu permesso di agire liberamente, saccheggiando molti insediamenti in zona, tra le quali Heraclea (oggi Policoro) e Metapontum (oggi Metaponto), dove il gladiatore ribelle si incontrò con il pirata cilicio Tigrane per organizzare il sospirato imbarco da Brindisi verso la Cilicia, poi fallito per il tradimento di quest'ultimo.    Il preannunciato arrivo delle truppe di Gneo Pompeo Magno e di Marco Terenzio Varrone Lucullo, proconsole di Macedonia, diede la scossa a Crasso che, a quel punto, non voleva dividere la gloria dell'impresa con i suoi rivali, anche perché a Roma si rumoreggiava sulla lunghezza della campagna stessa.

LA MORTE DI SPARTACO

La battaglia finale che vide la sconfitta e la morte di Spartaco nel 71 a.C. si svolse, secondo Appiano e Plutarco, presso Petelia (forse odierna Strongoli), in Calabria, mentre, secondo lo storico tardo romano Paolo Orosio, nei pressi delle sorgenti del fiume Sele ("ad caput Sylaris fluminis"), site nel territorio di Caposele, cioè tra i territori attuali dei comuni di Caposele e Quaglietta, nell'Alta Valle del Sele che a quel tempo faceva parte della Lucania. In quest'area, nei decenni passati, ci sono stati ritrovamenti di armature, corazze e spade di epoca romana.

La battaglia finale fu preceduta da numerosi e cruenti scontri; Plutarco narra che Spartaco, prima di questa battaglia, uccise il suo cavallo, dicendo che se avesse vinto avrebbe avuto tutti i cavalli che voleva, ma se avesse perso "non ne avrebbe più avuto bisogno". Durante lo scontro decisivo, il Trace sarebbe andato personalmente alla ricerca di Crasso per affrontarlo direttamente; egli non riuscì a trovarlo ma si batté con grande valore, uccidendo anche due centurioni che lo avevano attaccato. Dalla narrazione di Plutarco risulta che Spartaco rimase al centro della mischia mentre i ribelli erano ormai in rotta; circondato da un numero soverchiante di legionari venne «massacrato di colpi» e morì combattendo fino alla fine.

Il suo corpo non sarebbe stato mai ritrovato.

LA LEGGENDA SULLA MORTE DI SPARTACO

Secondo una leggenda popolare, Spartaco non venne riconosciuto ma fu catturato e venne crocifisso insieme agli altri prigionieri (cosa che è alla base di molte narrazioni moderne come in Spartacus di Stanley Kubrick). Anche per Sallustio, che ne descrive la fine con toni magniloquenti, morì sul campo di battaglia. Alcuni reparti del suo esercito fuggirono e si dispersero sui monti circostanti. Crasso fece crocifiggere lungo la via Appia, da Capua a Roma, una gran parte dei prigionieri, ma secondo Sallustio non Spartaco di cui il corpo non fu più ritrovato, forse perché ormai irriconoscibile a causa dei colpi ricevuti. Altri reparti dell'esercito ribelle, circa 5.000 uomini, tentarono la fuga verso nord, ma vennero intercettati e spazzati via dalle truppe di Gneo Pompeo Magno, che sopraggiungeva direttamente dall'Hispania. Terminava così la rivolta di Spartaco. Tuttavia rimasero vivi alcuni focolai portati avanti da seguaci del gladiatore ribelle scampati alla battaglia. Ancora nel 61 a.C. il propretore Ottavio, mentre si recava in Macedonia, di cui aveva ottenuto per sorteggio l'amministrazione dopo la pretura, annientò gli ultimi brandelli dell'esercito di Spartaco e di Lucio Sergio Catilina che si erano rifugiati a Turi.

LA RIBELLIONE

Esasperato dalle condizioni inumane che Lentulo riservava a lui e agli altri gladiatori in suo possesso, decise di ribellarsi a questo stato di cose e, nel 73 a.C., scappò dall'Anfiteatro capuano in cui era confinato; altri 70 gladiatori lo seguirono, fino al Vesuvio, prima tappa della rivolta spartachista. Sulla strada che portava alla montagna i ribelli si scontrarono con un drappello di soldati della locale guarnigione, che gli erano stati mandati incontro per catturarli. Benché armati di soli attrezzi agricoli e di coltelli e spiedi rimediati nella mensa e nella caserma della scuola gladiatora, Spartaco e i suoi riuscirono ad avere la meglio. Una volta neutralizzato il nemico, i ribelli depredarono dei loro armamenti i cadaveri dei soldati romani caduti e si diressero ai piedi del vulcano in cerca di un rifugio. Spartaco fu poi eletto a capo del gruppo di ribelli assieme ai galli Enomao e Crixus (detto anche Crisso o Crixio).